Monossido di carbonio, una nuova frontiera al limite del consentito: “Usarlo per migliorare le prestazioni? Una cosa assolutamente tossica”

La frontiera della scienza applicata al ciclismo si sta ampliando fino a includere il monossido di carbonio. È quello che emerge da un’inchiesta condotta dalla testata Escape Collective, che riporta come alcune squadre di primissimo livello della scena mondiale utilizzino test legati al suddetto gas per finalizzare al meglio gli allenamenti di preparazione, in particolare quelli in altura. Nel dettaglio, le squadre utilizzerebbero dei macchinari di inalazione del monossido di carbonio che permettono poi di misurare i cambiamenti avuti dal singolo atleta sul piano dell’emoglobina e, in generale, delle proteine nel sangue.

Secondo quando riportato da Escape Collective ci sarebbero UAE Team Emirates, Visma|Lease a Bike e Israel-Premier Tech fra le formazioni che hanno adottato questo sistema. Per quel che riguarda la squadra di Tadej Pogačar, i test di cui sopra avvengono in corrispondenza dei periodi di allenamento in altura, uno all’inizio, uno a metà periodo e uno alla fine: vengono usate solo quantità sicure, “ovviamente, perché ci potrebbero essere degli effetti collaterali che potrebbero essere pericolosi”, le parole del medico della squadra emiratina Adriano Rotunno. “Una volta che abbiamo le informazioni richieste, possiamo lavorare sulla definizione dei regimi di allenamento per il singolo atleta, e possiamo anche capire se il corridore ha beneficio dall’allenamento in altura. Non è una terapia, è uno strumento diagnostico che usiamo principalmente per conoscere meglio la fisiologia dei corridori”.

I tecnici della Visma|Lease a Bike, così come quelli della Israel-Premier Tech, confermano l’utilizzo di una macchina denominata Detalo Perfomance (strumento del valore di 50mila euro – ndr), utilizzata per tecniche di “ri-respirazione”. “Lavoriamo insieme al professor Bent Rønnestad da qualche anno per fare misurazioni fisiologiche, all’inizio e alla fine dei periodi di allenamento in altura”, le parole di Mathieu Heijboer, uno degli allenatori della squadra di Jonas Vingegaard. E il macchinario in questione sarebbe utilizzato dalla squadra solo sotto la diretta supervisione di Rønnestad, professore di Fisiologia con una cattedra alla Inland Norway University: “Prendiamo tantissime precauzioni per fare in modo che non accada nulla di pericoloso – puntualizza Heijboer – Inoltre, pensare di inalare un gas letale per aumentare l’emoglobina non ci pare giusto, né sul piano della sicurezza che su quello etico. Abbiamo scelto categoricamente di non farlo”.

Una ricerca scientifica presentata a Firenze, proprio alla vigilia del Grand Départ del Tour di quest’anno, sostiene però che l’inalazione di monossido di carbonio possa sortire effetti simili a quelli dell’allenamento in quota, anche sostituendo quest’ultimo. Inducendo ipossia (carenza di ossigeno), l’inalazione di CO possa essere usata per rimpiazzare i benefici dati dai periodi in altura, in termini di prestazioni. E la pratica può essere usata coniugandola proprio con gli allenamenti in quota, all’interno dell’approccio che si è diffuso negli ultimi anni con il nome di “super-altitudine”.

Carsten Lundby, anch’egli professore di Fisiologia alla Inland Norway University ma anche direttore generale della Detalo, ovvero l’azienda che produce i macchinari di cui sopra, sottolinea: “Il concetto è semplice e si conosce da probabilmente vent’anni – le parole del professore riportate da Escape Collective – Ma dato che è un metodo che comporta l’inalazione di un gas potenzialmente letale, c’era l’idea generale, fra i fisiologi con un interesse in questo campo, che legare questo metodo al miglioramento prestativo non sia una cosa da fare”. Lo stesso Lundby ha recentemente ha scritto una lettera al Journal of Applied Physiology, con queste parole:  “L’idea di legare l’inalazione di CO al miglioramento delle prestazioni è una cosa assolutamente tossica. Questa pratica è ora presumibilmente utilizzata da alcuni atleti e federazioni sportive nazionali. Anche se non è un approccio illegale, siamo veramente turbati da questo sviluppo“.

La tecnica in sé, infatti, non è vietata dall’Agenzia Mondiale Antidoping, anche se simile a quella legata al gas xeno, la cui inalazione è stata vietata proprio dalla WADA nel 2014. La stessa WADA vieta inoltre, esplicitamente, metodi che possano “migliorare artificialmente l’assorbimento, il trasporto e la distribuzione di ossigeno in un atleta”. L’eventuale inalazione “intensiva” di monossido di carbonio è evidentemente pericolosa per il corpo umano: il CO si lega infatti in maniera più efficace all’emoglobina rispetto a quanto faccia l’ossigeno e questo riduce la capacità della persona di trasportare l’ossigeno di cui il suo corpo ha bisogno. A parte il pericolo di morte, l’avvelenamento da monossido di carbonio può causare perduranti problemi di salute.

Non ci sono evidenze, per restare nel mondo del ciclismo e allargandosi anche a tutti gli altri sport, che questa pratica sia utilizzata al di fuori da procedure di test. Il professor Lundby, però, sottolinea quanto sia breve il passo dall’usare “il monossido di carbonio come misuratore all’usarlo in altro modo, facendo in pratica la stessa cosa. Per prima cosa, servirebbe una comprensione etica, da parte di tutti, che è una pratica che non si dovrebbe mettere in atto – chiude Lundby – Ma lo sport al massimo livello non funziona proprio così”.

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